Di Spreco Alimentare se ne parla tanto, tantissimo.
Per alcuni è una questione di principio che ci è stata tramandata da nonne e mamme: “Il cibo non si butta, non si spreca, gli avanzi sono ottimi ingredienti per creare nuovi piatti” e via dicendo.
Per altri il non sprecare cibo è una battaglia che deve essere vinta per il bene del nostro futuro: i numeri di questo fenomeno vengono ciclicamente ribaditi nei tg della sera, nei talk-show della domenica, sui quotidiani cartacei e ovviamente sui social.
Per altri, troppi ancora, lo spreco alimentare è solo l’ennesima tematica alla Greta Thunberg.
I NUMERI. I FATTI.
Eccoli, leggeteli ad alta voce:
Produciamo cibo a sufficienza per nutrire l’intera popolazione mondiale.(1)
1/3 di tutto il cibo prodotto viene sprecato (ci riferiamo a cibo ancora commestibile, ancora buono, ancora sicuro e nutriente). All’incirca 1.3 miliardi di tonnellate all’anno.
Quasi metà della produzione mondiale di frutta e verdura viene sprecata.
Una persona su 9 non ha cibo a sufficienza; si stima che 793 milioni di persone al mondo siano denutrite (ndr. attenzione, non ho scritto malnutrite).
e ora leggete questa…
se solo riuscissimo a salvare ¼ del cibo sprecato, potremmo sfamare 870 milioni di persone.
Solamente le ultime due affermazioni sono sufficienti per farci alzare dalla sedia e agire, combattere, no? Ma non è finita qua.
E’ chiaro che sprecare cibo è maledettamente sbagliato nei confronti del cibo stesso e dei milioni di persone che soffrono la fame, ma è anche maledettamente inquinante.
L’8% dei gas serra alla base del surriscaldamento globale sono causati dallo spreco alimentare.
Debellare per sempre lo spreco alimentare equivarrebbe a rimuovere una macchina su 4 dalla strada: 4.4 milioni di tonnellate di CO2 in meno.
Buttare nel cestino un hamburger equivale a farsi una doccia lunga 90 minuti.
LO SPRECO ALIMENTARE INTORNO A NOI
Il principale paradosso dello spreco alimentare è che, nonostante produciamo cibo a sufficienza per tutti (ndr. Anche di più), siamo ben lontani dal debellare la fame e la malnutrizione nel mondo.(2)
Tuttavia lo spreco alimentare tocca diversi ambiti della nostra società e della catena produttiva.
1/10 dello spreco alimentare avviene già sul campo di raccolto, quando per motivi estetici frutta e verdura non è accettata dai supermercati perché non conforme alle dimensioni o alle forme prestabilite dai piani alti.
Il 30% di cibo idoneo all’alimentazione umana viene usata per nutrire gli animali da allevamento, una pratica che tra l’altro alimenta la deforestazione per creare nuove monoculture estensive di soia e mais per questo unico scopo.
Si spreca cibo prima ancora che tocchi le nostre tavole. Supermercati e ristoranti gettano nell’immondizia kg e kg di prodotti alimentari ancora edibili ogni giorno.
I numeri dicono che il 33% del cibo sprecato è ancor fresco, il 27% sono avanzi, il 15% sono alimenti impacchettati e con una lunga scadenza, il 9% sono bevande, tanto quanto i cibi congelati che vengono gettati, e il 7% sono cibi d’asporto.
Lo spreco alimentare riguarda davvero qualsiasi settore: dall’ittica alla produzione casearia, fino a quella di cereali e derivati. Per non parlare dello spreco idrico legato alla produzione alimentare mondiale.
Insomma, potrei scrivere un articolo solo raccogliendo i numeri e i fatti che rendono lo spreco alimentare una delle più grandi pandemie del nuovo millennio.
COSA FARE NEL NOSTRO PICCOLO
Lo spreco alimentare mi è sempre stato a cuore.
Fortunatamente rientro nella categoria di chi è cresciuto con la cultura degli avanzi a forma di polpette, frittelle e sughi per pasta.
Con l’età e la formazione universitaria ho poi cercato di rendere questa battaglia un’abitudine quotidiana: non gettare ingredienti freschi, ma usarli anche se un po’ tristi e rugosi; congelare quanto possibile se si cucina più del necessario e infine chiedere la famosa doggy-bag per gli avanzi al ristorante.
Innanzitutto, possiamo trovare un nuovo nome e non chiamare gli avanzi della nostra cena “gli scarti per il cane”? Si accettano idee!
Passando alla parte pratica, non ho intenzioni di fare la paternale a nessuno.
Sono lontana dall’essere perfetta, ma cerco di fare del mio meglio nel mio piccolo, come sempre.
Onestamente, spesso è difficile chiedere al cameriere di turno di mettere da parte gli avanzi della cena. Tutto dipende da dove mi trovo: se sono in una città internazionale, in un ristorante giovane o in un locale che so avere a cuore tematiche ecologiche, allora sono più rilassata, anzi capita che la proposta di portare a casa gli avanzi arrivi proprio dall’alto.
Ci sono però ancora tantissimi ristoranti, spesso di provincia e legati alle vecchie cattive abitudini, che non rendono la battaglia semplice.
Mi spiego meglio con un esempio pratico, capitato durante la mia vacanza in Sardegna.
Pranzo domenicale a menù fisso.
Cucina tradizionale sarda, abbondante e squisita.
Gli antipasti accolgono me e il mio fidanzato Simon al tavolo. Cominciamo a darci dentro con gusto, ma non appena vediamo passare i primi piatti per i tavoli vicini, capiamo che è meglio darci una calmata.
Il cameriere si avvicina: “Posso portare via?”, chiede.
Rispondo chiedendo cosa ne facessero degli avanzi, se li usassero per dare da mangiare agli animali o… che ne so. Una fine diversa dall’immondizia.
E’ subito chiaro che il cameriere non capisce dove voglia parare. Gli chiedo, dunque, se possa metterli da parte, “anche tutti insieme, non importa”, così da portarli via, “sa è nostra abitudine non sprecare il cibo, è un peccato per tutto questo ben di Dio”.
E’ palese quanto questa richiesta sia una spina nel fianco per lui, per la cucina, per tutti, ora anche per me, che immediatamente mi sento il volto avvampare dall’imbarazzo.
Mentre il cameriere porta via gli antipasti, cerco di farmi forza, ripetendo a Simon tutti quei motivi per cui “è giusto fare così!”.
Proseguiamo con il banchetto domenicale.
I due primi piatti sono abbondanti, ma riusciamo a finirli.
L’arrivo dei secondi è trionfale: porceddu, cinghiale e patate.
Aiuto.
Prevediamo il nostro futuro e so già, in cuor mio, che dovrò chiedere nuovamente di portare via gli avanzi del secondo.
Per evitare un ulteriore disturbo alla cucina, decido di andare a prendere un tapperware dal nostro camper “così non ci sono scuse, non devono usare contenitori loro, no?”.
Noto che il cameriere evita di venire al nostro tavolo, nonostante sia palese che abbiamo finito il pasto. Ci ha preso per dei rompip****, ne sono certa.
Nuovamente mi sento in difetto, ma poi vedo le quantità di porceddu e cinghiale che vengono portate via dagli altri tavoli: vassoi quasi intatti, pieni di prelibatezze, e l’imbarazzo lascia spazio al coraggio e al buon senso.
“Non si può far finta di nulla. Uno o più porcellini e cinghiali sono stati uccisi per il nostro piacere. Vogliamo rimanere onnivori?! E allora è importante essere onnivori responsabili. Questi vassoi pieni di carne sono uno schiaffo alla fame e agli animali morti per noi. Non importa cosa pensi il cameriere o l’intera brigata di cucina. Non siamo certo noi a essere nel torto, ma chiunque pensi che richiedere gli avanzi non sia elegante e che sia meglio lasciare tutto quel ben di Dio tornare in cucina e finire nell’immondizia!”. Questo quanto ripeto a me stessa e al mio fidanzato.
Alla fine la giustizia vince, la luce trionfa sulle tenebre, e riusciamo a portare con noi tutti i nostri avanzi.
Rimane un’amara consapevolezza: sono ancora troppe le persone, clienti e ristoratori, che ancora oggi non richiedono o non propongono la “Box contro lo spreco” come se fosse un rito, con la stessa naturalezza che si ha per un caffè o un amaro a fine pasto.
Eppure basterebbe così poco.
Pensate se tutta la sala dell’agriturismo in cui abbiamo pranzato avesse avanzato la nostra stessa richiesta. Un piccolo gesto che, se fatto da tutti, avrebbe portato a un grosso risultato.
Pensate, anzi, se fosse legge, se fosse consuetudine, portare a casa gli avanzi dei pasti, se alle casse dei supermercati mettessero in mostra gli articoli in scadenza o già scaduti da aggiungere al carrello gratuitamente, invece di Mars, Twix e patatine in offerta.
E allora, mentre aspettiamo che questi cambiamenti arrivino dall’alto, iniziamo noi, nel nostro piccolo, a cambiare.
Coinvolgiamo sempre più amici e parenti nel diminuire gli sprechi alimentari e se avete consigli per pratiche semplici da includere nella nostra quotidianità, condividetele con me.
Sarei felice di ripostarle a mia volta sui miei canali social.
P.S. Di seguito vi lascio i link a due iniziative molto attive in Italia (ma non solo), con cui assicurarsi quei prodotti che altrimenti sarebbero gettati nella spazzatura, ovviamente a 1/3 del prezzo originale.
Note:
(2) Soffrire di malnutrizione non significa tanto non avere accesso al cibo, quanto non avere accesso ad alimenti che possano nutrire il corpo. Un esempio di questo fenomeno sono i food deserts e i suoi abitanti, per cui l’unica spesa possibile è presso il b
azar del paese, la cui offerta alimentare è limitata a prodotti preconfezionati e cibi processati. Comprare frutta e verdura diventa quindi un lusso, che pochi possono permettersi, spesso perché si è troppo distanti e il costo di tale viaggio è troppo dispendioso.
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